Revival anni Ottanta: inflazione oltre l’8%
A giugno l’inflazione nell’area euro ha segnato un nuovo record: 8,6%. In Italia è arrivata all’8% su base annua, il massimo dal 1986. Cosa significa per i tuoi risparmi?
L’ultimo dato sull’inflazione nella zona euro ha fatto segnare l’ennesimo record: a giugno i prezzi al consumo sono saliti dell’8,6% (dopo l’8,1% di maggio), un livello mai toccato dalla creazione dell’Unione Economica e Monetaria. E sopra le attese, ferme a +8,4%. A certificarlo è la stima flash di Eurostat, secondo cui la principale responsabile della crescita dell’inflazione media è stata l’energia (+41,9% rispetto al +39,1% di maggio), seguita da prodotti alimentari e servizi. E in Italia non va molto meglio: +8,5% su anno, dal +7,3% di maggio.
Non solo. In Italia, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività rilevato dall’Istat (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dell’8% su base annua dal +6,8% del mese precedente: non succedeva dal gennaio del 1986.
Inversione di rotta per le banche centrali
Sono dati che lasciano poco margine di manovra alla Banca Centrale Europea: a maggior ragione dopo la lettura di questi numeri, Francoforte dovrà alzare i tassi nella prossima riunione del 21 luglio – come del resto aveva già annunciato – seguendo le orme della Federal Reserve e della Bank of England. Le banche centrali stanno infatti inasprendo rapidamente le politiche monetarie per tener fede al loro mandato di garantire la stabilità dei prezzi. Anche a costo di raffreddare la crescita economica.
La stessa BCE ha indicato un rialzo di 25 punti base questo mese, ma molti analisti si aspettano ora un aumento di 50 punti base già a settembre.
L’inflazione, infatti, è in costante aumento da più di un anno: inizialmente ad alimentarla furono gli shock degli approvvigionamenti post-pandemia; ora la “colpa” è dei prezzi dell’energia, volati alle stelle in seguito alle conseguenze della guerra russa in Ucraina. Fatto sta che l’impennata non accenna a fermarsi e che, attualmente, il tasso di inflazione nella zona euro è quadruplicato rispetto al target del 2% fissato dalla BCE. Anche escludendo i prezzi volatili dei generi alimentari e dei carburanti, l’inflazione “di fondo” è comunque elevata, pari al 4,6%.
Cosa possiamo aspettarci per il futuro?
Stando all’analisi di Robert Holzmann, governatore della banca austriaca e membro della BCE, l’aumento dei prezzi potrebbe raggiungere il suo picco quest’autunno. Tradotto: abbiamo davanti ancora diversi mesi di prezzi in aumento e conseguenti rialzi dei tassi.
Le previsioni della Banca Centrale Europea al momento indicano un’inflazione complessiva che, nel corso del 2023, dovrebbe già scendere dal 6,8% al 3,5%. Tuttavia, c’è molta incertezza legata a queste stime. Basti solo pensare alla guerra russa in Ucraina che si trascina, alla crisi energetica che parallelamente accelera e alle carenze negli approvvigionamenti alimentari che spingono verso l’alto il costo della vita.
Ecco cosa sostiene François Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia.
“In questa fase, dovremmo tornare a quello che gli economisti chiamano ‘il tasso neutrale a breve termine’, che per l’area dell’euro credo sia tra l’1% e il 2%. La chiamo ‘normalizzazione’ perché usciamo da condizioni eccezionalmente accomodanti e torniamo a condizioni di finanziamento più normali. Mi aspetto che i tassi vengano aumentati almeno fino a questa zona neutrale, in modo sostenuto ma ordinato. Quando saremo lì, discuteremo se andare oltre o no. Dipenderà dalle prospettive dell’inflazione per allora”.
In buona sostanza, si naviga a vista. E non potrebbe essere altrimenti. Villeroy de Galhau tende tuttavia a escludere una recessione economica per la zona euro. “Non dico che la crescita sia vivace, ma è resistente. Vediamo una buona tenuta dei consumi e degli investimenti”.
Uno scudo anti-frammentazione
In tutto questo, non va dimenticato che la BCE, sempre in occasione della riunione del prossimo 21 luglio, dovrebbe anche annunciare uno strumento anti-frammentazione, volto a impedire che la stretta monetaria inneschi una crisi del debito, specialmente nei Paesi più fragili (fra i quali la nostra Italia).
Secondo quanto riferito da alcune fonti all’agenzia di stampa Reuters, l'annuncio di uno schema di grandi dimensioni (i cui dettagli sono ancora in via di definizione) potrebbe tranquillizzare gli investitori sull’impegno della BCE a combattere la frammentazione finanziaria nella zona euro. E gettare acqua sulla fiammata dei rendimenti dei titoli di Stato nei Paesi ad alto debito osservata nelle ultime settimane.
Cosa significa tutto questo per i tuoi risparmi?
Veniamo a noi. Per te che investi, che implicazioni hanno l’aumento dell’inflazione e l’imminente stretta monetaria? Diciamocelo senza tanti giri di parole: nessuna delle due è una notizia fantastica. Se tradizionalmente nei periodi di inflazione in aumento gli investitori tendono a rifugiarsi nell’obbligazionario, l’aumento dei tassi avviato dalle banche centrali oggi penalizza anche i bond, facendo diminuire il valore di quelli già in circolazione. Insomma: i rendimenti reali scendono per effetto dell’inflazione e il valore dei titoli cala di pari passo con l’aumento dei tassi.
Meglio allora vendere tutto e mettere i soldi sul conto corrente? Assolutamente no. Così facendo, avresti una sola certezza: lasceresti l’inflazione libera di “mangiarsi” i tuoi risparmi. A morsi sempre più grandi, tra l’altro, visto l’andamento dei prezzi.
L’unica strada è quella dell’investimento sui mercati. Selezionando però quelle soluzioni che ti consentano di proteggere il tuo gruzzolo dai rischi di inflazione e di tassi in crescita. E affidandoti a un Financial Coach che, a mente lucida e senza lasciarsi prendere dal panico, sia in grado di prospettarti l’asset allocation più adeguata ai tuoi obiettivi e al tuo profilo di rischio, sempre tenendo conto del contesto.