La Fed non tocca i tassi. E il taglio? Può attendere
Un’inflazione ancora persistente e un’economia solida hanno spinto la banca centrale USA a mantenere i tassi al 5,25%-5,5%.
Per la sesta volta consecutiva, la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi di interesse, ai livelli più elevati da 23 anni. Il motivo? L’inflazione è ancora troppo alta e non scende abbastanza velocemente. È la sfida del cosiddetto “ultimo miglio”: la parte finale della battaglia contro la corsa dei prezzi. La più difficile.
Tassi invariati per la sesta volta consecutiva
La decisione, presa all’unanimità, è in linea con le aspettative degli analisti ed è giustificata dal fatto che negli ultimi mesi i progressi per riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2% sono stati molto lenti, se non nulli. “L’inflazione è scesa nell’ultimo anno, ma rimane elevata. Negli ultimi mesi c’è stata una mancanza di ulteriori progressi verso il target di inflazione al 2%”, si legge nel comunicato.
A spingere per un rinvio del taglio dei tassi è stato anche il buono stato di salute dell’economia USA.
"I recenti indicatori suggeriscono che l’attività economica ha continuato a espandersi a un ritmo solido. La crescita dei posti di lavoro è rimasta forte e il tasso di disoccupazione è rimasto basso”.
Per questi motivi il Federal Open Market Committee (FOMC), l’organo che definisce la politica monetaria, “non prevede sarà appropriato ridurre la forbice dei tassi finché non avrà maggior fiducia sul fatto che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il 2%”.
Un solo taglio dei tassi in vista?
Mercati e operatori finanziari, fino a poco tempo fa, si aspettavano addirittura sei tagli dei tassi nel corso del 2024. Ma attenzione: già durante la riunione del 20 marzo i membri della banca centrale USA avevano modificato le attese, prevedendo tre riduzioni del costo del denaro per l’anno in corso, con un primo possibile intervento a giugno. Ora, con un’inflazione ancora persistente, i mercati si aspettano un solo taglio dei tassi nel corso dell’anno.
L’inflazione non molla la presa
La cautela mostrata dalla Fed non è stata però una vera e propria sorpresa, per due motivi:
- i dati degli ultimi mesi hanno mostrato una corsa dei prezzi che ha ripreso vigore;
- la spesa per consumi è ancora sostenuta.
La svolta definitiva nelle attese è arrivata dopo la diffusione dei dati di marzo sull’inflazione PCE, la misura più seguita dalla Fed. L’indice ha segnato un aumento del +2,7% annuo, contro il +2,5% di febbraio. Il dato core, depurato da beni energetici e alimentari, è risultato invariato, al +2,8%. La discesa dell’inflazione sembra dunque aver frenato. Anche l’indice dei prezzi al consumo (CPI) ha evidenziato a marzo un aumento del +3,5% su base annua, in ripresa dal +3,2% di febbraio, mentre il dato “core” è apparso stabile al +3,8%.
E la crescita? C’è, ma a un tasso più basso
Sebbene in salute, l’economia USA ha segnato una battuta d’arresto nel primo trimestre di quest’anno: il PIL è cresciuto dell’1,6% annualizzato (+0,4% su base trimestrale), sotto le attese, che vedevano un incremento del +2,5%.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, i dati mostrano una situazione piuttosto solida. A marzo il tasso di disoccupazione si è attestato al 3,7%, mentre le assunzioni proseguono a ritmo sostenuto e i salari orari, pur in rallentamento, continuano a crescere al di sopra del 4% annuo. Numeri positivi, nel complesso, che rendono improbabile un taglio dei tassi prima di novembre.
Intanto, però, il presidente della Fed Jerome Powell ha dissipato i timori di un ritocco all’insù. “Credo che sia improbabile che la prossima mossa sui tassi sia quella di un rialzo. Direi che è improbabile”, ha detto, aggiungendo che “un inatteso indebolimento del mercato del lavoro” potrebbe invece spingere la banca centrale a tagliare i tassi prima del previsto.
Riduzione del bilancio: andamento lento
Oltre ad aver lasciato invariati i tassi, la Fed ha deciso anche di rallentare la velocità di riduzione del suo bilancio. Da giugno, i titoli di Stato che saranno lasciati scadere senza essere rinnovati scenderanno dagli attuali 60 miliardi al mese a 25 miliardi. Invariato il limite dei mortgage-backed securities (titoli garantiti da mutui), che rimane a 35 miliardi: ogni ammontare in eccesso rispetto a questa soglia sarà reinvestito.
Insomma, la situazione resta articolata. Per questo, come ti ricordiamo sempre, quando si tratta di investire è sempre bene affidarsi a un professionista come il Financial Coach: un professionista che può aiutarti a gestire i tuoi risparmi nel modo migliore, in linea con le tue esigenze.