Lotta all’inflazione: il Fondo Monetario approva la BCE
Analizzando i fattori che hanno alimentato l’impennata dei prezzi, l’FMI approva l’operato della BCE, criticata da diverse parti per i recenti rialzi.
Il 2022 è stato un po’ un ritorno agli anni Settanta e Ottanta. E no, non parliamo di moda. Parliamo di inflazione, un fantasma che sembrava essersi dissolto e che invece, all’improvviso, è tornato al centro della scena. Sulla spinta della crisi energetica (un altro parallelismo con gli anni Settanta, segnati da due shock petroliferi del ‘73 e del ‘79), i prezzi, dopo aver sonnecchiato per quasi trent’anni, sono tornati a correre.
L’inflazione globale ad agosto ha toccato il 7,5% su base annua, il doppio rispetto al 3,4% del 2020 e più del triplo rispetto al 2,1% registrato tra il 2010 e il 2020. “L’economia mondiale è nel mezzo del peggiore shock inflattivo dagli anni Settanta”, dice non a caso un’istituzione del calibro del Fondo Monetario Internazionale.
Il tema ha acceso la curiosità di studiosi ed economisti, stregati da uno dei misteri più vecchi dell’economia: perché i prezzi aumentano? Le spiegazioni sono numerose. Secondo alcuni, la recente impennata dell’inflazione è dipesa dallo straordinario rimbalzo della domanda che ha fatto seguito alla pandemia, un rimbalzo che ha di fatto mandato in cortocircuito le catene globali di approvvigionamento. Per altri, invece, questo è stato sicuramente un fattore, ma hanno contato di più gli aumenti dei prezzi dell’energia e dell’incertezza dovuti alla guerra della Russia in Ucraina.
Il ruolo delle banche centrali e dei governi
A fare chiarezza sul tema è un recente studio del Fondo Monetario Internazionale che punta a sbrogliare l’intricata matassa dei diversi fattori che hanno contribuito al surriscaldamento dei prezzi in Europa.
Certo, l’inflazione è in ascesa un po’ dappertutto nel mondo, ma ci sono grosse differenze sia nel livello raggiunto sia nelle cause che l’hanno determinata. L’obiettivo del paper “Here Comes the Change: The Role of Global and Domestic Factors in Post- Pandemic Inflation in Europe” è proprio quello di stabilire quanto le policy adottate, i rincari di energia e i colli di bottiglia abbiano influito sull’inflazione in Europa, dove la corsa dei prezzi è al suo apice da quarant’anni.
Per farlo, i ricercatori del Fondo hanno preso in considerazione i dati di 30 Paesi europei tra il 2002 e il maggio 2022. I risultati sono, in parte, sorprendenti. Al contrario della vulgata comune, secondo la quale in Europa l’inflazione è spinta soprattutto dai prezzi dell’energia, per i ricercatori dell’FMI contano soprattutto le reazioni di governi e banche centrali.
“I fattori globali continuano a giocare un ruolo essenziale nel plasmare le dinamiche inflattive in tutta Europa, ma i fattori domestici, come le risposte di politica monetaria e fiscale alla crisi, sono diventati più importanti dopo la pandemia.”
Come si spiegano gli aumenti dei prezzi, quindi?
Seguici attentamente, perché adesso entriamo nel dettaglio dello studio. Secondo l’FMI:
- “l’output gap domestico” – vale a dire la differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale del singolo Paese – ha un effetto significativo sia sull’inflazione complessiva sia su quella “core”, ovvero l’inflazione calcolata al netto di energia e alimentari;
- “l’output gap globale”, dal canto suo, influenza di più l’inflazione “core”.
Non solo. Altri “fattori globali” – come i prezzi dell’energia e delle materie prime e i colli di bottiglia nelle catene di rifornimento – e il tasso di cambio hanno importanti effetti sull’inflazione in Europa. Dai dati, poi, emerge una differenza tra le economie avanzate e quelle emergenti. Queste, infatti, subiscono molto di più gli effetti dei fattori globali rispetto alle prime.
Tuttavia, si legge appunto nello studio, “nel periodo post pandemico i fattori domestici sono diventati molto più importanti nel determinare le dinamiche inflattive in tutti i Paesi”. Ok, hai ragione: possono sembrare le classiche questioni di lana caprina. Ma se ne stiamo parlando è perché questi risultati hanno un’implicazione sulle decisioni di politica monetaria.
“L’evoluzione della domanda aggregata all’interno e all’estero conta più che mai per l’appropriato orientamento della politica monetaria necessario a portare l’inflazione sotto controllo.”
La medicina è una sola: alzare i tassi di interesse
La conclusione è quella che oramai conosciamo tutti molto bene: piaccia o no, il cerino è nelle mani dei banchieri centrali. Siccome i rincari sono causati soprattutto da fattori domestici, in particolare dal surriscaldamento dell’economia, tocca a loro frenare la corsa dei prezzi.
“Le banche centrali dovrebbero continuare a ricalibrare le condizioni monetarie, aumentando i tassi di interesse ed eliminando il quantitative easing, per ancorare le aspettative di inflazione, che sono diventate ancora più importanti nel periodo post pandemico.”
La strada intrapresa dalla Banca Centrale Europea, secondo il Fondo Monetario Europeo, è quindi quella giusta. In barba alle critiche da più parti arrivate dopo i recenti annunci e dopo l’ulteriore rialzo dei tassi operato a dicembre. Ma non bisogna abbassare la guardia.
E soprattutto, nella gestione dei tuoi risparmi, non avventurarti nella lettura dei fatti e dei dati da solo. Non è saggio e meno che mai conveniente. Molto meglio farlo con l’aiuto di un Financial Coach, che può farti da bussola in un momento particolarmente complesso – ma non privo di opportunità – sui mercati.