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Il pregiudizio c’è ma non si vede: cos’è il blind spot bias

Secondo gli esperti, il blind spot bias è il re di tutti i pregiudizi. Disinnescandolo, possiamo mettere fuori gioco anche gli altri. Ecco come.

Ti abbiamo detto sempre che il modo migliore per superare i tuoi pregiudizi e sfuggire alle tue trappole mentali è imparare a conoscerli. E se questo fosse vero solo in parte? Peggio ancora: se credere di sapere tutto sui più tipici errori cognitivi che tipicamente affliggono l’investitore creasse una illusoria fiducia in se stessi, premessa di trappole perfino più grandi?

Perché in realtà devi sapere che tutti i bias di cui ti abbiamo parlato finora affondano le loro radici – e le loro possibilità di funzionare mettendoti i bastoni tra le ruote – in quello che secondo molti esperti è il re di tutti i bias. Anzi, il “bias nel bias”. Stiamo parlando del blind spot bias, il pregiudizio del punto cieco.

Il pregiudizio del punto cieco: cos’è?

Come può far intuire il nome, il punto cieco (blind spot) è qualcosa che ha a che vedere con i nostri occhi. Per esser più precisi: con il fondo dei nostri occhi. È una piccola zona della retina che non ha recettori per la luce, e dunque è cieca. Ma punti privi della vista sono presenti anche nella nostra testa. E sono ciechi proprio perché ci impediscono di vedere una serie di nostre caratteristiche salienti. Stiamo forse parlando di potenzialità delle quali non abbiamo ancora acquisito la giusta consapevolezza? No, niente affatto: stiamo parlando di pregiudizi che siamo straconvinti di non avere, al contrario delle altre persone (e ritenendoci per questo migliori di loro).

Ma la convinzione di non avere pregiudizi è essa stessa un pregiudizio. E prende il nome di “pregiudizio del punto cieco”, o “blind spot bias”. Seguici, perché quello che stiamo per dirti è molto importante.

“Io non ho pregiudizi, gli altri sì”

Ti suona familiare? In effetti, è un atteggiamento che spesso e volentieri tutti noi assumiamo. Quasi sempre senza accorgercene. L’assunto sottostante è che noi siamo più lucidi, più saggi, più obiettivi di chiunque altro ci circondi. Siamo sinceramente e genuinamente convinti di prendere qualunque decisione sulla base di dati molto fattuali, puntuali, oggettivi e concreti, e che ogni nostra valutazione degli stessi è assolutamente lucida, razionale e obiettiva. Nessun pregiudizio ci tange. Ma è davvero così?

In un articolo di alcuni anni fa dedicato al tema e intitolato “The bias within the bias”, il bias dentro il bias, Samuel McNerney lanciava una provocazione che al contempo era anche e soprattutto una riflessione: conoscere le trappole che la nostra mente ci tende non basta per scansarle. Perché sotto c’è la trappola delle trappole: il blind spot bias, appunto.

Spieghiamo meglio. Mettiamo che per migliorare i tuoi processi decisionali – negli investimenti o sul lavoro – tu legga con avidità e attenzione tutti gli approfondimenti che ti abbiamo finora proposto. Benissimo, ottimo punto di partenza: alla fine saprai tutto su – ne citiamo giusto qualcuno – self attribution bias, regret aversion, FOBO, Dunning-Kruger e via dicendo. A quel punto, però, potrebbe facilmente scattare quel “meta-bias” – come lo chiama McNerney – che farà sì che “gli altri soffrono di questi bias, ma io no”.

“Anche se intuitivamente crediamo di correggere i pregiudizi dopo essere stati esposti ad essi, è impossibile farlo veramente finché non consideriamo come il pregiudizio del punto cieco – il pregiudizio all’interno del pregiudizio – distorce il pensiero”.

Insomma, quel che dobbiamo fare è disinnescare il re di tutti i bias, che permette agli altri pregiudizi di agire indisturbati anche dopo che abbiamo iniziato a prendere atto della loro esistenza.

Come si applica tutto ciò agli investimenti?

Finché non disinneschiamo il blind spot bias, infatti, non saremo mai veramente in grado di mettere fuori uso tutti gli altri pregiudizi e cortocircuiti comportamentali che condizionano la nostra vita e le nostre scelte. Anche negli investimenti. E cosa puoi fare per disinnescarlo? Vale, anche in questo caso, quello che ti abbiamo sempre detto a proposito dei bias comportamentali: il primo passo è ammettere di averne uno. Secondo step: individuare un/a professionista degli investimenti, imparare a fidarti di lui/lei e, riconoscendo che non sei perfetto né scevro da pregiudizi, prestare attenzione a tutto quello che ti dirà.

Per esempio, potresti essere sinceramente convinto di non avere nulla contro una certa asset class o nessuna particolare predilezione per un prodotto che, secondo tutte le autorità di vigilanza possibili e immaginabili, è in effetti molto rischioso e non proprio alla portata del piccolo investitore. In questo modo, però, magari ti perdi opportunità di guadagno o ti porti in casa rischi potenzialmente molto seri di cui potresti – e dovresti – fare a meno. Una buona strategia? Ascoltare quello che ti dice il tuo consulente finanziario. Non c’è niente che possa fruttare di più del riconoscere i propri limiti e ammettere di non sapere. A partire da questo, potrai fare le scelte realmente indicate per te. Con l’ausilio del tuo Financial Coach.

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