Cos’è successo a Silicon Valley Bank e perché non devi allarmarti
Il fallimento della banca californiana ha scatenato il panico sui mercati. Ma allarmarti non serve: si tratta, negli States come in Europa, di situazioni molto specifiche.
In questi giorni avrai sicuramente sentito parlare del crack della banca californiana Silicon Valley Bank, seguito dalla chiusura di un’altra banca regionale americana, Signature Bank. A questo si sono aggiunti i sudori freddi per il colosso bancario, Credit Suisse, le cui difficoltà hanno creato turbolenze sui mercati - soprattutto in Europa - fino alla concessione di un grosso prestito da parte della Banca Centrale Svizzera per ripristinare la liquidità dell’istituto.
Gli episodi hanno subito generato timore sulla stabilità del sistema finanziario. Ma cerchiamo di capire meglio cos’è successo e cosa c’entrano – sempre che c’entrino – le banche europee.
Caso SVB: una nuova Lehman?
Dopo diversi anni, la vicenda di SVB (Silicon Valley Bank) ha portato di nuovo alla ribalta il mondo della finanza made in USA. C’è addirittura chi ha paragonato il suo caso al default della Lehman Brothers, la banca d’affari che nel 2008 finì gambe all’aria facendo detonare la più grave crisi finanziaria dal 1929. Be’, no, ecco: il parere della maggior parte degli analisti, degli esperti e degli osservatori è che il fallimento di SVB non avrà le stesse conseguenze.
D’altra parte, dopo i default di Bear Sterns e Lehman Brothers, le banche centrali e i governi hanno molti più strumenti con cui intervenire in caso di problemi. Senza contare che la banca californiana è molto più piccola e ha meno legami con la finanza europea. Inoltre, i suoi guai derivano dal modo in cui ha operato e non da una situazione di fragilità generalizzata a tutto il sistema bancario, come fu invece nella crisi del 2007-2008.
Silicon Valley Bank: cos’è successo alla banca?
Sono tre gli elementi da tenere in considerazione: il rialzo dei tassi, la specificità del business di SVB, concentrato sulle start-up californiane, e una gestione del rischio abbastanza discutibile. Partiamo dal business. SVB potrebbe essere definita come la banca delle start-up tecnologiche e dei fondi di Venture Capital che ne sostenevano lo sviluppo. Una banca che però negli ultimi anni è cresciuta troppo e troppo in fretta. Basta guardare ai bilanci.
Alla fine del 2020 aveva asset totali per 115,5 miliardi di dollari, depositi per 102 miliardi e un portafoglio investimenti di 49,3 miliardi. L’anno dopo, le attività toccavano i 211,5 miliardi e i depositi i 189,2 miliardi. Gli investimenti in titoli, invece, ammontavano a 128 miliardi di dollari. Cosa significa tutto ciò? Innanzitutto, che in un’epoca di tassi a zero l’enorme massa di liquidità affluita in breve tempo ha spinto la banca a fare incetta di bond, soprattutto titoli di Stato USA, a lunghissima scadenza.
La corsa agli sportelli delle start-up
Nel 2022 la musica è cambiata. Mentre gli asset risultavano in linea con i valori del 2021 (211,8 miliardi) e il portafoglio investimenti pure (120,1 miliardi), i depositi erano calati a 173,1 miliardi. Questo vuol dire che già all’inizio dell’anno scorso SVB ha registrato un deflusso di liquidità, che si è poi aggravato nelle scorse settimane, portando alla chiusura della banca. Un deflusso causato dal fatto che i principali clienti dell’istituto erano appunto start-up tecnologiche, ossia aziende nate da poco e che, proprio per questo, non sono ancora in utile e per svilupparsi hanno bisogno di finanziamenti consistenti.
Ma i rialzi dei tassi operati dalla Fed hanno reso l’indebitamento molto più oneroso, mentre la congiuntura incideva sui già fragili bilanci. In una parola, queste imprese bruciavano cassa. Per andare avanti avevano bisogno di contante, e così hanno cominciato a ritirare i depositi che detenevano presso SVB.
L’intervento antipanico delle autorità
Per far fronte alle richieste dei propri clienti, la banca è stata costretta a liquidare 21 miliardi di dollari di titoli del Tesoro Usa che aveva in pancia a valori inferiori a quelli di acquisto, realizzando perdite, fino ad allora solo potenziali, pari a 1,8 miliardi di dollari (e anche qua c’è in parte lo zampino dei rialzi Fed). Di qui il peggioramento dei ratio patrimoniali, che ha spinto SVB a chiedere al mercato un aumento di capitale, andato a vuoto, da 2,25 miliardi.
La conseguenza è stata una vera e propria “corsa agli sportelli”: giovedì 9 marzo i clienti della banca hanno cominciato a ritirare in massa i propri depositi. Pioggia di vendite sulle azioni SVB in Borsa: la capitalizzazione, che appena 18 mesi prima aveva toccato i 44 miliardi di dollari, è crollata a 7 miliardi. Venerdì 10 marzo, l’istituto di credito è stato dichiarato fallito.
Per frenare il panico che si è scatenato sui mercati, la Fed e il dipartimento del Tesoro hanno annunciato che rifonderanno tutti i depositanti, non solo quelli con conti inferiori a 250mila dollari. Il fallimento della banca californiana si è trascinato dietro anche quello di Signature Bank di New York, mentre altri istituti, per esempio First Republic Bank, hanno subito pesanti perdite in Borsa.
Caso SVB: esiste un rischio contagio?
Il pensiero a questo punto ti sarà venuto, specialmente dopo aver assistito al calo del titolo Credit Suisse consumatosi mercoledì 15 marzo. I due casi, però – quello delle banche USA, non di primo piano e non sistemiche, e quello di Credit Suisse – non sono collegati. Come spiega anche Il Post, il colosso europeo è sotto pressione da tempo: i primi di febbraio i risultati sul 2022 hanno portato alla luce la perdita finanziaria più grave dal 2008, a valle di anni di difficoltà e scandali finanziari. Lo scorso ottobre, poi, la banca ha annunciato un grosso piano di ristrutturazione, con la previsione di importanti tagli al personale e un profondo ripensamento del business.
L’unico punto in comune è il contesto di panico generale innescato dall’incertezza sulla stabilità del sistema finanziario e bancario: l’emotività, insomma. L’impatto negativo di queste crisi potrebbe semmai essere un nuovo “credit crunch”, una stretta creditizia interbancaria con conseguente rallentamento dei prestiti e dell’economia, utile almeno – si spera – a raffreddare l’inflazione.
Banche nel mirino: come investire?
Diversificando, sempre. Ma attenzione: la strategia d’investimento deve sempre rispondere agli obiettivi e al profilo del singolo investitore. Il confronto con un consulente finanziario professionale, ad esempio uno dei Financial Coach di ING, resta quindi la risposta sempre valida anche per te.