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Prezzo del petrolio in rialzo: cosa devi sapere

Un anno fa il Brent era sui 61 dollari e il WTI ne valeva circa 58: oggi siamo a quota 90. Come mai e, soprattutto, quanto conviene investire?

Ti sei mai chiesto perché, quando si parla di petrolio, si citano sempre il Brent e il WTI? Sono forse il nome e/o la sigla di due leggendari petrolieri del Texas, un po’ in stile JR Ewing della soap “Dallas”? No, niente affatto. Brent e WTI sono le due qualità di petrolio greggio più importanti nel contesto degli scambi internazionali: e infatti fanno da “benchmark”, da parametro di riferimento, determinando il prezzo del petrolio estratto nel mondo.

Brent e WTI vengono estratti in due diverse aree del mondo occidentale. Nello specifico, Brent è un giacimento di petrolio scoperto all’inizio degli anni Settanta nel Mare del Nord, al largo di Aberdeen, in Scozia: quindi il Brent è il petrolio di riferimento europeo. Il WTI, dal canto suo, è il West Texas Intermediate, conosciuto anche come Texas Light Sweet: viene utilizzato come benchmark sul mercato dei futures del NYMEX.

Abbiamo capito, dunque: sono importanti. Ma perché ne stiamo parlando?

Prezzi del petrolio in risalita

Perché un anno fa il Brent era sui 61 dollari al barile, mentre il barile di WTI valeva circa 58 dollari. Oggi, mentre scriviamo, siamo a 91 dollari al barile per la qualità europea e sugli 89 dollari per quella texana. Un rialzo consistente, insomma, con quota 100 sempre più vicina. E non è nemmeno stato l’unico. L’Arab Light – che è un po’ il top di gamma dell’Arabia Saudita, Paese leader dell’Organizzazione dei Paesi esportatori, nota anche come OPEC – ha iniziato l’anno sugli 81 dollari (60 un anno fa) mentre ora è sui 90.

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Aumenti registrati nonostante l’OPEC+ (il cartello dei produttori OPEC allargato ai Paesi non OPEC, fra i quali la Russia) abbia accettato di incrementare la produzione di petrolio. Una decisione, questa, adottata al vertice dei primi di febbraio.

Perché la decisione dell’OPEC+ non è bastata

L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio e i suoi alleati rivedranno al rialzo, per l’ottavo mese di seguito, la produzione: 400mila barili al giorno in più a marzo. Confermato, dunque, il graduale piano di rientro dai tagli. Non è cosa di poco conto: stiamo parlando infatti del “club” cui si deve una grossa fetta dell’offerta globale di petrolio, e al quale sono arrivate nei mesi scorsi le pressioni di Paesi consumatori del calibro di Stati Uniti e India. D’altra parte, c’è da soddisfare l’appetito che, con la ripresa economica dalla pandemia di Covid-19, si è fatto via via più robusto: basteranno queste revisioni al rialzo?

Si teme di no. Al di là della cautela dei Paesi produttori, che li spinge a non allargare troppo e subito i cordoni dell’offerta, c’è anche da considerare il fatto che più di un membro del “club” ha fatto fatica – e tuttora fa fatica, per i più disparati motivi (pochi investimenti in infrastrutture, per esempio) – a rispettare le sue quote. Questo, sullo sfondo della ripresa della domanda a livello globale, del conseguente calo delle scorte, delle tensioni geopolitiche (si veda il dossier Ucraina) e via dicendo, ha contribuito a far salire i prezzi.

E poi ci sono le previsioni meteo: perché se è vero che l’Italia è da settimane nella morsa della siccità, è anche vero che altrove sono previste forti nevicate, pioggia gelata e ghiaccio. In alcune aree degli Stati Uniti, per dire. Il che fa presagire un ulteriore aumento della richiesta. E ciò, insieme alle scorte USA in calo (la divisione del dipartimento dell’Energia statunitense ha confermato che le scorte di greggio, negli ultimi sette giorni al 4 febbraio 2022, sono scese di 4,7 milioni, contro attese per una crescita di 0,3 milioni), certamente non depone a favore di un ripiegamento dei prezzi.

Investire nelle materie prime: conviene?

I prezzi salgono: è ora di mettere le materie prime nel tuo portafoglio? L’investimento in commodities può essere un’opportunità, considerando che offre la possibilità di una migliore diversificazione e una certa protezione contro l’inflazione.

Ma va da sé che non puoi investire comprando lingotti d’oro o barili di petrolio (oppure cubi di tungsteno, anche se recentemente alcuni investitori in piena frenesia per questo metallo lo hanno fatto). Ha decisamente più senso puntare invece su prodotti d’investimento come i fondi che investono il capitale raccolto presso i risparmiatori in un paniere diversificato di strumenti esposti a vario titolo al settore.

Ma quanto e come investire? Dipende da quali sono le tue esigenze. Ma in ogni caso, prima di compiere una scelta, ti sarà utile un confronto con il tuo consulente finanziario.

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