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Petrolio, taglio strong alla produzione. Cosa significa?

In tempi di crisi energetica, arriva la notizia – peraltro attesa – del taglio monstre alla produzione varato da OPEC+. Perché e con quali conseguenze?

Da una parte, la gran quantità di Paesi che hanno fame di energia. Dall’altra, i pochi che hanno in casa giacimenti di materia prima energetica – per quanto non proprio pulitissima, né infinita – e possono trarre vantaggio dal loro esiguo numero, facendo il buono e il cattivo tempo sull’offerta per portare i prezzi a livelli dal loro punto di vista più congrui.

Dagli anni Sessanta, questo gruppo ristretto di “fortunati” ha un nome: si chiama OPEC ed è l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Da qualche anno, l’OPEC è diventata OPEC+, perché al nucleo dei fondatori si sono aggiunti i loro alleati. Uno in particolare: la Russia.

OPEC+: l'incontro a Vienna

I rappresentanti del gruppo si sono riuniti in presenza a Vienna mercoledì 6 ottobre per la prima volta dopo oltre due anni. Novità che già di per sé era stata letta come il segnale che l’Organizzazione avrebbe intrapreso un’azione significativa per far fronte a prezzi del greggio giudicati un po’ troppo bassi.

Nella riunione di settembre, l’OPEC+ aveva varato un taglio teorico di 100mila barili al giorno, che si è tradotto in un taglio effettivo più contenuto. Alla luce delle crescenti preoccupazioni sulla domanda, in vista della riunione del 6 ottobre le aspettative del mercato si erano attestate su un taglio dell’offerta di circa un milione di barili al giorno. Ma sono presto salite a ben 2 milioni di barili al giorno.

Alla fine, l’OPEC+ ha annunciato che il taglio dell’offerta sarà esattamente di questa portata: 2 milioni di barili al giorno da novembre fino alla fine del 2023. Con possibilità di rivedere questa linea restrittiva prima di allora, se necessario. Ma un conto è il taglio teorico, appunto. Un altro è quello effettivo.

“I nostri dati suggeriscono che il taglio annunciato porterà a una riduzione effettiva di circa 1,1 milioni di barili al giorno rispetto ai livelli di produzione di agosto”, scrive su ING Think Warren Patterson, Head of Commodities Strategy. È probabile che solo Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq, Gabon, Algeria e Oman avranno bisogno di rivedere al ribasso l'output. E la ragione è semplice: tutti gli altri membri stanno già producendo al di sotto del loro nuovo obiettivo di produzione.

Perché l’OPEC+ si comporta così?

Prospettive economiche poco chiare, crisi energetica in corso e incertezza sull’evoluzione dell’offerta petrolifera russa dopo l’entrata in vigore del divieto UE sul petrolio e i prodotti raffinati russi, insieme al tetto dei prezzi del G7: le incognite su offerta e domanda non mancano. E allora perché questa mossa, che tra l’altro non contribuirà di certo a distendere il clima delle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita? Perché le ragioni della Russia, grande alleato dell’Arabia Saudita, sembrano avere avuto la meglio. Questa la puntualizzazione di Patterson.

“Un grande vincitore di questi tagli all’offerta sarà la Russia. La Russia non ha bisogno di tagliare la produzione, dato che sta già producendo al di sotto dei livelli prefissati, eppure beneficerà dei prezzi più alti che probabilmente vedremo a seguito dei tagli”.

Cosa significa questo per i prezzi del petrolio?

Dal punto di vista di Pattersion, il taglio annunciato dall’OPEC+ modifica drasticamente l’equilibrio petrolifero per il resto del 2022 e per tutto il 2023. “In precedenza, avevamo previsto che il mercato globale avrebbe registrato un notevole surplus per il resto di quest’anno e poi un surplus più marginale nella prima metà del 2023, prima di tornare in deficit nella seconda metà. Tuttavia, l’eliminazione di circa 1,1 milioni di barili al giorno dall’offerta comporta un mercato più equilibrato nel quarto trimestre del 2022 e in forte deficit per tutto il 2023”.

Quanto ai prezzi, “ci aspettavamo che l’ICE Brent si muovesse nell’area dei 90 dollari per il resto di quest’anno e nella prima metà del prossimo, prima di tornare sopra i 100 dollari al barile nel quarto trimestre del 2023”, scrive Patterson. Ma il taglio varato il 6 ottobre cambia le carte in tavola, spingendo al rialzo le probabilità di una quotazione sui 97 dollari al barile per l’intero 2023.

Quale risposta arriverà dagli Stati Uniti?

L’amministrazione statunitense non ha di certo festeggiato. Anche perché dall’altra parte dell’Atlantico si avvicina a grandi falcate un appuntamento elettorale non di secondaria importanza: il voto di metà mandato. I prezzi della pompa di benzina al rialzo potrebbero, come puoi ben immaginare, contrariare l’elettorato. Facile quindi che gli States decidano di attingere alle loro riserve strategiche di petrolio, che sono comunque ai livelli più bassi dalla metà degli anni Ottanta. Ragion per cui si attingerà, sì, ma con parsimonia.

Altra possibile mossa potrebbe essere continuare a far pressione sui produttori affinché aumentino la produzione in modo più aggressivo. Ma si è già visto come da quell’orecchio i produttori ci sentano assai poco. Un po’ per le prospettive incerte della domanda, un po’ per l’aumento dei costi, e un po’ anche perché prezzi della materia prima più alti sono tutto sommato una buona notizia anche per i produttori USA.

L’altra carta che gli Stati Uniti possono giocare è quella dell’accordo sul nucleare iraniano. Un’intesa su questo delicatissimo tema – in un momento nel quale tra l’altro il Paese è attraversato da disordini interni – farebbe aumentare l’offerta di Teheran fino a 1,3 milioni di barili al giorno. Il che compenserebbe abbondantemente la riduzione dell’OPEC+, tenendo comunque presente che in caso di accordo servirebbe del tempo prima che l’Iran riesca a incrementare la sua produzione. E poi, sottolinea Patterson, “c’è sempre il rischio che l’OPEC+ riduca ulteriormente la produzione in caso di accordo sul nucleare”.

La domanda e l’evoluzione dell’economia

Tutto questo per quanto riguarda l’offerta. C’è poi il tema della domanda, che in una fase economica come quella in cui ci troviamo potrebbe facilmente scendere. Di quanto? “Dipenderà dalla gravità della recessione in arrivo”, conclude Patterson.

Lato investimenti, intanto, può essere utile ricordare che le materie prime sono un buon antidoto all’inflazione. Vale quindi la pena, anche in questo caso, di tenere i radar puntati sulle possibili opportunità. A patto però di confrontarsi sempre con il proprio Financial Coach.

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