Yen, tassi e banca centrale: cosa sta succedendo in Giappone?
L’eccessiva debolezza dello yen sta destando preoccupazioni in Giappone. Ma cosa implica e come siamo arrivati fin qui?
Nell’ultimo mese lo yen, la valuta nipponica tradizionalmente considerata “porto sicuro” per gli investitori, è tornato sotto i riflettori a causa dei suoi movimenti bruschi, che aprono una serie di interrogativi sullo stato di salute del sistema finanziario del Paese.
La data da cerchiare in rosso è il 29 aprile 2024, quando la moneta ha prima toccato i minimi dal 1990 sul dollaro per poi rimbalzare improvvisamente e passare nel giro di qualche ora da 159,5 per dollaro a 154,5. Una dinamica che ha innescato il sospetto di un intervento da parte delle autorità nipponiche, intervento che però il governo non ha mai confermato. Nei giorni seguenti, tra l’altro, la valuta è tornata a indebolirsi (nel momento in cui scriviamo viaggia sui 154,7).
Perché uno yen debole è un problema?
In realtà si tratta di un equilibrio difficile.
- Da un lato, una valuta debole può aiutare dal punto di vista della competitività delle esportazioni e spingere il turismo.
- Dall’altro, ci sono anche aspetti negativi: dal momento che il Giappone importa molti più beni di quelli che esporta, uno yen debole significa prezzi più alti e quindi un costo della vita più elevato.
Il secondo punto è stato messo molto bene in chiaro, di recente, dal ministro delle Finanze Shunichi Suzuki, intervenuto al Parlamento giapponese.
“Poiché il Giappone dipende dai mercati esteri per cibo ed energia e una grande parte delle sue transazioni è denominata in dollari, uno yen più debole potrebbe aumentare i prezzi dei beni importati”.
Crescita, tassi, inflazione: come siamo arrivati fin qui?
Al netto della recente accelerazione al ribasso, va detto che lo yen si sta progressivamente indebolendo rispetto al dollaro da parecchio tempo. E anzi, inizialmente il deprezzamento della valuta era il frutto di una strategia ben precisa: quella prevista dalla “Abenomics”, cioè l’insieme delle politiche economiche messe in atto dall’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe.
Correva l’anno 2012. Uno yen forte aveva eroso l’industria manifatturiera del Giappone contribuendo a pressioni deflazionistiche e stagnazione economica. Il nuovo primo ministro Abe si era posto l’obiettivo di invertire questa tendenza per innescare la ripresa. E ci è riuscito: da allora la valuta nipponica è scesa di circa il 50% rispetto al dollaro. Fin troppo, è l’idea che inizia a serpeggiare tra le autorità di Tokyo. Tanto che, già nel 2022, il governo interviene acquistando yen.
Si arriva così al 19 marzo 2024. La banca centrale giapponese (BoJ), in una mossa storica, decide di alzare i tassi di interesse (seppur in modo marginale) per la prima volta dal 2007, ponendo fine all’era dei tassi negativi: il costo del denaro passa così da -0,1% a un range compreso tra zero e 0,1%. Ma nella riunione successiva, quella del 25 e 26 aprile, non dà seguito al cambio di passo, lasciando i tassi invariati.
Dura la vita del banchiere centrale in Giappone
Una decisione attesa, ma che, unita alle aspettative di un (più o meno vicino) taglio dei tassi da parte della Fed, imprime un’ulteriore accelerata al crollo dello yen, già colpito duramente negli ultimi tempi dal cosiddetto “carry trade”, una strategia che consiste nell’indebitarsi in una valuta con bassi rendimenti (come quella giapponese, appunto) per investire i capitali in un’economia in cui i rendimenti sono alti (gli Stati Uniti, per esempio). Così, tra una cosa e l’altra la valuta nipponica arriva a valere quasi 160 yen per dollaro.
Il che innesca tutta una serie di potenziali effetti indesiderati: nel lungo periodo infatti, un cambio debole tende a sostenere l’inflazione, e questo potrebbe costringere prima o poi la banca centrale ad alzare i tassi. Ciò, però, si tradurrebbe in un aumento della spesa per interessi, del deficit e del debito, che è già il più alto al mondo, pari a circa il 260% del PIL. Gli interventi sul mercato valutario da parte del governo possono servire a prendere tempo, ma non sono risolutivi. Insomma, il governatore della Bank of Japan Kazuo Ueda si trova in una situazione delicata. In cui, non dimentichiamolo, anche le mosse della Fed giocano un ruolo non indifferente.
Per chi investe con uno sguardo anche all’estero e in particolare all’area del Pacifico la situazione è un po’ meno delicata, per fortuna: a patto, però, di farsi sempre affiancare dal Financial Coach.