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Petrolio in ribasso: cosa significa per i tuoi investimenti?

Il prezzo del greggio ha toccato livelli che non si vedevano dal 2021, spinto in basso da fattori congiunturali e strutturali. La buona notizia è che la benzina costerà un po’ meno.

Il prossimo inverno, benzina e riscaldamento potrebbero costare (un po’) meno, per la gioia dei consumatori. Nelle ultime settimane, infatti, il prezzo del petrolio Brent (il riferimento europeo) e WTI ha continuato a scendere, complice una domanda inferiore all’offerta in scia alla quale l’oro nero è tornato su livelli che non si vedevano dal 2021. 

Nel dettaglio, il Brent ha toccato un minimo sotto i 69 dollari al barile lo scorso 10 settembre, mentre il WTI è arrivato nella stessa giornata a 65,3 dollari al barile.

 

Petrolio in calo: le contromosse di OPEC+

 

L’andamento ha spinto l’OPEC+ (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio più altri Stati produttori) a rimandare da ottobre a dicembre l’avvio del piano per la rimozione graduale dei tagli alla produzione.

 

Paesi al di fuori di OPEC+, come Brasile e Guyana, continuano tuttavia a produrre a ritmi sostenuti. Proprio per questo, scrivono gli esperti di ING Think, è probabile che a un certo punto il cartello decida di abbandonare i tagli alla produzione nel tentativo di estromettere dal mercato altri produttori non OPEC. Questo il commento degli esperti.

“Seguire però questa opzione significherebbe un maggiore ribasso dei prezzi. Prezzi più bassi significano minori entrate per i membri dell’OPEC e quindi, con l’indebolimento dei prezzi, ci sarà una crescente pressione a pompare di più nel tentativo di mantenere le entrate”.

Sul finire della settimana, in realtà, i prezzi dell’oro nero hanno registrato un rimbalzo, complice il passaggio dell’uragano Francine che ha toccato zone chiave per la produzione di petrolio nel Golfo del Messico. Ma, secondo diversi analisti, la tendenza al ribasso osservata nei giorni scorsi non si è affatto esaurita.

 

Cosa ne pensano gli analisti

 

Un recente report di Morgan Stanley, per esempio, segnala un aumento dei venti contrari sul fronte della domanda: proprio per questo gli analisti hanno tagliato le previsioni sui prezzi del Brent per il quarto trimestre dell’anno a 75 dollari al barile dai precedenti 80 dollari, spiegando che i prezzi probabilmente rimarranno intorno a questo livello, a meno che la domanda non si indebolisca ulteriormente.

 

Anche Goldman Sachs ha abbassato di 5 dollari il range previsto per i prezzi del petrolio Brent, portandolo a 70-85 dollari al barile, a causa dell’indebolimento della domanda cinese, delle scorte elevate e dell’aumento della produzione di scisto negli Stati Uniti.

 

E Bank of America ha rivisto le sue previsioni per il 2025 abbassando quelle sui prezzi del Brent a 75 dollari da 80 dollari e quelle sul WTI a 71 dollari da 75.

 

Cosa sta succedendo?

 

Ci sono diversi fattori che contribuiscono al rallentamento della domanda che sta dietro la discesa dei prezzi del greggio: alcuni congiunturali, altri più strutturali.

 

Da un lato c’è il rallentamento della crescita in Cina, tradizionalmente uno dei principali consumatori di petrolio. L’OPEC prevede che l’economia cinese crescerà del 4,6% quest’anno e del 4,3% nel 2025, meno delle stime ufficiali, che indicano ancora un +5%. E rallentamento economico fa rima con calo dei consumi. Anche di petrolio. Pechino ha già ridotto gli acquisti di greggio di 320mila barili al giorno nei primi sette mesi dell’anno (quando l’OPEC si aspettava un incremento della domanda). Così si esprime a riguardo l’ultimo rapporto del cartello dei produttori petroliferi.

“I consumi interni in Cina rimangono un punto focale di preoccupazione, influenzati dalle incertezze del settore immobiliare e dal calo della spesa discrezionale”.

Ma il rallentamento della domanda riguarda anche l’India. Intanto, negli Stati Uniti (nazione che produce e consuma più petrolio al mondo), stando all’ultimo Short-Term Energy Outlook diffuso dall’EIA (la Energy Information Administration), la produzione di greggio crescerà di 420mila barili al giorno nel 2025, un po’ meno della crescita di 460mila barili al giorno prevista il mese scorso.

 

Ci sono poi, come accennato, fattori strutturali, basti pensare alla transizione energetica, destinata a incidere in modo sempre più significativo sul fabbisogno di petrolio.

 

Quali conseguenze con i prezzi del petrolio bassi?

 

Il calo dei prezzi del petrolio potrebbe accelerare la ritirata dell’inflazione e, di conseguenza, spingere la Fed nei prossimi mesi a tagliare i tassi in modo più deciso del previsto, a beneficio delle quotazioni azionarie e obbligazionarie. Allo stesso tempo, tuttavia, un calo dei consumi di petrolio potrebbe anche riflettere una diminuzione della domanda globale e dell’attività economica, ambiente tipicamente più sfidante per le azioni, seppure non privo di opportunità.

 

Insomma, la situazione è in continua evoluzione e per chi investe l’unica cosa da fare è monitorarla con attenzione. Continuando, nel frattempo, a concentrarti sui tuoi obiettivi di investimento di lungo periodo. Sempre con il supporto del Financial Coach.

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