Il tuo portafoglio non può essere “resiliente”, ma tu sì
Da almeno un decennio, “resilienza” è diventata una parola d’uso comune: vediamo di capire cosa significa e come si applica agli investimenti.
Ogni momento storico si caratterizza per atteggiamenti, idee e stati d’animo più o meno efficacemente sintetizzati in parole che finiscono con l’imporsi all’uso comune. Già prima della pandemia di Covid-19, nell’onda lunga della crisi finanziaria del 2008, una parola estremamente in voga era “resilienza”. Ti è mai capitato di sentirne parlare o di parlarne tu stesso? Oggi cerchiamo di metterne a fuoco le varie connotazioni nell’ambito della finanza comportamentale.
Che cos’è la resilienza?
“In fisica e in ingegneria”, spiega la Crusca nella pagina web dedicata alla parola, a cura di Simona Cresti, “resilienza indica la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in misura variabile dopo la deformazione”.
L’esplodere di un uso più disinvolto della parola, si legge ancora nella pagina web, “si data intorno al 2011: da allora il sostantivo – insieme al corrispondente aggettivo ‘resiliente’ – circola sui media cartacei e digitali, cavalcando la particolare attrattiva ‘metaforica’ che è in grado di esercitare”.
Per esempio – e qui arriviamo all’ambito che più ci interessa, ovvero quello della finanza comportamentale – in psicologia per resilienza si intende “la capacità di recuperare l’equilibrio psicologico a seguito di un trauma”.
Resilienza è uguale a resistenza?
No, ci conferma la pagina a cura di Simona Cresti: un materiale resistente contrasta l’urto finché non si spezza, con una maggiore o minore capacità di opposizione (i materiali, così come le persone, sono più o meno resistenti); un materiale resiliente, invece, assorbe l’urto “in virtù delle proprietà elastiche” della sua struttura. Ok, ma quindi? Per fartela più semplice, possiamo dire che:
- “resistenza” è quando pensi: “abbozzo, prima o poi passerà la nottata”;
- “resilienza” è quando invece pensi: “prima o poi passerà la nottata, ma intanto la affronto e affrontandola vedo di imparare qualcosa che mi aiuti a migliorare e mi renda più forte”.
C’è di buono che, come qualunque altra facoltà umana, la resilienza di ognuno è una sorta di muscolo che, sottoposto a corretto esercizio, può rafforzarsi: come sottolinea Raffaella Pizzi, psicologa e formatrice, resilienti non si nasce ma si può diventare. E, aggiungiamo noi, se si è resilienti si può diventare più resilienti.
Puoi costruire un portafoglio “resiliente”?
Lo abbiamo visto insieme poco fa: ogni cosa, volendo, si può definire “resiliente”. Anche un portafoglio d’investimento dichiaratamente costruito per assorbire gli urti degli shock finanziari – per esempio l’onda d’urto del fallimento di una grande banca d’affari chiamata Lehman o la diffusione globale del coronavirus responsabile di una sindrome respiratoria acuta grave simile alla SARS.
Ma tra il dire e l’essere c’è purtroppo di mezzo la realtà: posso sempre dire “ho un portafoglio resiliente”, perché pensato per perdere meno valore del mercato nei momenti di calo e per recuperare più in fretta, però ciò non significa che sia davvero resiliente.
Perché, di fatto, la resilienza è una qualità che assai difficilmente si può conferire a un paniere di strumenti finanziari, esposti, comunque vada, a eventi esterni duri da prevedere. Qualcuno ci azzecca, certo: ma, come si dice, persino un orologio rotto azzecca l’ora due volte al giorno.
Insomma, nessuno può dirsi totalmente al riparo dal rischio, neanche chi si tiene i soldi sotto al materasso: in questo caso, ad agire è il rischio legato all’inflazione, che logora il potere d’acquisto dei tuoi denari. Prevedere con esattezza ogni rischio è impossibile. Ma certamente puoi imparare a reagire al meglio agli urti. Come?
Puoi migliorare la tua resilienza
Innanzitutto, mettendo a fuoco il tuo profilo e la tua propensione al rischio. Questo, se investi con un consulente finanziario, è un passaggio essenziale che dovete fare insieme, altrimenti non potrete dar corso all’investimento: ve lo impone la normativa, per la tutela stessa dell’investitore e per una sua maggiore consapevolezza. Alla luce di quanto emergerà dal questionario che compilerai con il tuo consulente, insieme deciderete come costruire il tuo portafoglio d’investimento: quanto azionario metterci, quanto obbligazionario, quanta liquidità, e via dicendo.
Il portafoglio dovrà avere una caratteristica essenziale, che non è la resilienza ma la diversificazione: significa che i tuoi – per fare un esempio – 5.000 euro non dovranno assolutamente andare tutti su un unico strumento finanziario ma su una serie di strumenti diversi, in modo da differenziare le fonti di rischio e rendimento. Se lavorerete bene, con competenza (il consulente) e assennatezza (tu), il portafoglio sarà fatto per durare un congruo periodo di tempo (pur con tutti i rimaneggiamenti periodici del caso): è solo l’orizzonte temporale, infatti, che può garantirti la possibilità di assorbire e recuperare le eventuali batoste.
Assennatezza, abbiamo detto. Ma anche resilienza. Che dovrà essere un tratto saliente tuo e non del portafoglio. Non è facile per nessuno, ma la via migliore per superare i momenti di crisi è non andare in panico, rimanere saldi e imparare per migliorarsi. Vale anche per te che investi. E che, come abbiamo detto poco fa, puoi sempre contare sulla consulenza degli esperti.