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Il rapporto Assogestioni-Censis si chiede cosa fare della liquidità degli italiani

Per fare scelte consapevoli e remunerative, la figura del consulente finanziario appare sempre più cruciale.

Gli italiani sono maleducati? Sì. Almeno dal punto di vista finanziario. E il quarto Rapporto Assogestioni e Censis, intitolato “I risparmiatori oltre la crisi: per scelte di investimento consapevoli”, ha misurato quanto lo sono. Dallo studio emerge una scarsa diffusione delle competenze finanziarie e una sopravvalutazione della propria conoscenza della materia, che è insidiosissima perché può portare a scelte sbagliate. Anzi “autolesioniste”, come vengono definite.

Il campanello d’allarme scatta quando apprendiamo che le famiglie stanno modificando i loro portafogli liberandosi del contante per puntare su soluzioni in grado di generare rendimenti che tengano il passo con l’inflazione. Un bene, di per sé, perché ciò segnala una svolta verso un atteggiamento più maturo nella gestione del denaro.

Ma occorre che le decisioni siano ben ponderate e, soprattutto, informate. Ed è proprio questo che sembra mancare.

Mania del contante finalmente al tramonto?

Nel 2022 il contante nel portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie italiane si è ridotto di oltre 20 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. In termini reali si tratta di un calo dell’1,6%. Una tendenza che sembra proseguire anche durante quest’anno, come dimostra la diminuzione del 6,1% annuo dei depositi bancari che si è registrata a marzo.

Il motivo? L’inflazione, che nel 2022 si è attestata all’8,7% rendendo meno attraente il contante. Nei dieci anni precedenti, caratterizzati da una crescita dei prezzi molto contenuta, il cash era aumentato del 61,8%, ossia di quasi 470 miliardi di euro.

Insomma, l’inflazione sta modificando le abitudini di investimento. Non a caso, secondo il Rapporto quattro risparmiatori su dieci dichiarano che nell’ultimo anno hanno rivisto le loro idee su come impiegare i risparmi. Una conferma viene anche dai consulenti finanziari: il 33% del campione interpellato ha registrato un’elevata propensione dei clienti a liberarsi della liquidità accumulata.

Ma l’educazione finanziaria scarseggia ancora

Gli italiani, insomma, sono desiderosi di investire. Il punto, però, è farlo bene, con scelte ponderate e consapevolezza. Sotto questo aspetto, lo studio di Assogestioni è molto interessante perché misura anche le cosiddette “incompetenze nascoste”, vale a dire le presunte conoscenze finanziarie che le persone si attribuiscono. Pensa: il 72,3% dei risparmiatori italiani è convinto che le proprie conoscenze su questioni relative al risparmio e agli investimenti sono adeguate e solo il 27,7% le ritiene insufficienti.

Pie illusioni, e ti spieghiamo brevemente perché.

  • Nell’ambito dello studio, al campione individuato sono stati somministrati quattro quesiti per verificare la reale conoscenza dell’inflazione, dell’effetto dei tassi attivi sui depositi e di quelli passivi sui prestiti e della differenza tra azioni e obbligazioni.
  • Tra le persone che dichiarano di sapere cos’è l’inflazione, quattro su dieci non sanno che riduce il potere d’acquisto dei redditi.
  • Nel complesso, tra chi si ritiene in possesso di adeguate conoscenze finanziarie il 25,4% ha risposto bene a due quesiti, il 15,4% a un solo quesito, il 7,1% a nessuno.

Per quanto riguarda il totale del campione:

  • il 40,9% dei risparmiatori italiani non conosce l’effetto dell’inflazione sul potere d’acquisto dei redditi;
  • il 35% non sa come opera il tasso di interesse attivo su un conto corrente;
  • il 47,8% non comprende le conseguenze degli interessi passivi su un prestito bancario;
  • il 41,6% non sa distinguere tra azioni e obbligazioni.

Non male, per essere un Paese di risparmiatori che credono di sapere.

La presunzione porta a scelte di investimento sbagliate

L’eccesso di fiducia nelle proprie capacità porta ad abbassare la guardia e ad assumersi più rischi. Ma la scarsa educazione finanziaria si riflette anche su un altro aspetto: più di un risparmiatore su tre ritiene che ottenere buoni rendimenti dipenda dalla fortuna, senza grosse differenze tra titoli di studio. Assume infatti un atteggiamento fatalista il 43,9% di chi ha un basso livello di istruzione, il 39,2% dei diplomati e il 32,5% dei laureati. E la pensa così il 46,6% di chi non possiede adeguate competenze finanziari, così come il 30,8% di chi invece si dichiara competente in materia.

Cosa ne pensano i consulenti finanziari?

Per quanto riguarda il grado di educazione finanziaria, solo l’1% dei consulenti definisce ottime le competenze dei propri clienti, il 21,3% le ritiene buone, il 50% sufficienti, mentre per il 28,2% sono insufficienti.

Insomma, il quadro che emerge dal quarto Rapporto Assogestioni-Censis conferma le rilevazioni che ciclicamente vengono diffuse sull’educazione finanziaria degli italiani: il livello è scarso, ma a preoccupare è soprattutto l’eccessiva fiducia che molti nutrono nelle proprie capacità e competenze.

Anche per questo si conferma l’importanza di affidarsi a un consulente finanziario. Alla luce dei risultati dello studio, una figura come quella del Financial Coach appare sempre più centrale per una corretta gestione dei risparmi.

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