Greedflation: se dietro l’inflazione c’è lo zampino delle imprese
L’“inflazione da avidità” è un fenomeno che ha fatto la sua comparsa nell’ultimo anno. Ecco una piccola guida per riconoscerla.
In quest’ultimo periodo ha fatto capolino una nuova parola: “greedflation”. Letteralmente, l’“inflazione da avidità”. Cosa significa? In sostanza, nei passati due anni le imprese hanno approfittato dei rincari di energia e materie prime per giustificare ritocchi al rialzo dei loro listini.
L’ultimo caso riguarda le compagnie aeree, che si sono guadagnate una convocazione dal Garante, il quale ha chiesto spiegazioni precise sulle dinamiche dei prezzi e in modo particolare su determinate tratte che hanno registrato una variazione anomala.
Ma cos’è, esattamente, la “greedflation”? Ecco una piccola guida.
Greedflation e shrinkflation: ti suonano familiari?
Prima di parlare di “greedflation”, dobbiamo fare un cenno a un fenomeno parallelo: la “shrinkflation”. Sono entrambe strategie che le aziende mettono in campo quando l’inflazione inizia a correre.
- La shrinkflation è quella pratica commerciale in base alla quale le aziende riducono la quantità o la qualità di un prodotto senza variare il prezzo di vendita. Un caso classico è quello dei pacchi di pasta da 400 grammi anziché da 500, che hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali dei supermercati negli ultimi mesi. Il suo principale vantaggio (dal punto di vista dell’azienda) consiste nel fatto che i clienti generalmente non se ne accorgono e hanno anzi la percezione (illusoria) che i prezzi non siano cambiati.
- Il termine greedflation si applica invece quando le imprese alzano i prezzi, anche se non ne hanno bisogno, per aumentare i loro margini di profitto. In questi casi, infatti, i costi di produzione non hanno subito un incremento tale da giustificare la revisione dei listini. Tuttavia, alla luce dell’inflazione generalizzata, i consumatori non si sorprendono troppo per i rincari dei singoli prodotti e la fanno passare liscia.
Alla scoperta dell’inflazione da profitti
A lungo i banchieri centrali hanno messo in guardia governi e decisori politici contro il pericolo della famigerata spirale prezzi-salari, che scatta quando, spinti dall’inflazione, i lavoratori iniziano a richiedere aumenti in buste paga. Un lavoratore che costa di più comporta però maggiori costi fissi per l’azienda. Che a quel punto ritocca i prezzi dei beni e dei servizi. Si innesca, insomma, quel circolo vizioso su cui i banchieri centrali – a cominciare dalla presidente BCE Christine Lagarde – sono sul chi va là.
Tuttavia, finora questo non si è verificato. Anzi, secondo diversi studi nell’ultimo anno più che i salari sono stati i profitti a giustificare il balzo dei prezzi. Di recente, dal consesso annuale dei banchieri centrali a Sintra, la stessa presidente della Banca Centrale Europea ha spiegato che parte della colpa della fiammata registrata nell’ultimo anno è appunto delle imprese.
“I profitti per unità di prodotto hanno contribuito per circa due terzi all’inflazione interna nel 2022, mentre nei vent’anni precedenti il loro contributo medio era stato di circa un terzo”.
La greedflation dal punto di vista della BCE
Anche nell’ultimo bollettino economico della BCE, pubblicato a fine giugno, si spiega che gran parte dell’aumento dei prezzi è stato dovuto alla greedflation. Nel testo, gli economisti di Francoforte sottolineano come la forte crescita dei margini unitari delle imprese negli ultimi trimestri abbia determinato “contributi visibili alle pressioni inflazionistiche nell’Eurozona”.
In pratica, invece di assorbire (almeno in parte) nei margini i rincari dei costi dei mesi passati, derivanti soprattutto dalla corsa dei prezzi dell’energia, molte imprese hanno continuato a ritoccare all’insù i listini. In questo modo, sono parallelamente (e costantemente) aumentati anche i profitti.
Gli utili crescono anche se l’economia frena
In teoria, nell’ultimo periodo l’andamento degli utili avrebbe dovuto essere molto meno vivace, dal momento che i profitti unitari sono particolarmente influenzati dal ciclo economico, che è risultato in rallentamento. Tuttavia, non è quello che è successo, essenzialmente per due motivi:
- in seguito al Covid, la domanda in molti settori è stata molto più forte dell’offerta, che doveva ancora riprendersi del tutto dalle restrizioni pandemiche;
- la crescita sostenuta dei prezzi degli input (come l’energia, per esempio) ha reso più facile per le imprese aumentare i listini. In una situazione simile, generalmente per i consumatori è molto difficile capire se l’aumento dei prezzi sia causato da costi oggettivamente più elevati.
I prezzi al rialzo e le scelte d’investimento
Seppure in rallentamento, l’inflazione continua a correre, mettendo i risparmiatori nelle condizioni di dover cercare un modo per proteggere i propri soldi. Tuttavia, come ti diciamo sempre, non c’è una strategia valida per tutti. Il nostro consiglio è quello di parlarne con il tuo Financial Coach, che potrà suggerirti il modo migliore per gestire le tue disponibilità.