Cos'è e come si forma il consensus
Ci sono professionisti che analizzano titoli e società ed emettono un giudizio. Che è un importante punto di riferimento, ma da solo non basta
A volte i titoli azionari salgono, altre volte scendono. Le ragioni possono essere delle più disparate. Una di queste è abbastanza prosaica: il titolo sale perché ha battuto le attese. Di chi? Di una platea di esperti, che insieme formano il cosiddetto “consensus”.
Che cos’è il consensus?
Per dirla con le parole di Borsa Italiana, è “la media delle previsioni prodotte dagli analisti finanziari relativamente a una società o a un titolo quotati”. Il consensus – o, più precisamente, “consensus forecast” – in sostanza è la media delle previsioni emesse dagli analisti finanziari su un titolo quotato o su alcuni dati della società emittente, per esempio l’utile per azione.
Formulare le stime sugli utili (o su altri dati) rientra tra le funzioni degli analisti finanziari, che si rimboccano le maniche effettuando tutte le ricerche del caso per conto dei grandi investitori istituzionali. Capita poi che ogni analista segua uno specifico titolo e la sua società emittente, creandosi così uno “storico” che fa di lui/lei una voce molto ascoltata.
Attenzione, però: come avrai sicuramente notato, abbiamo scritto “possono” e non “spingono”, presentando le eventuali vendite e gli eventuali acquisti come una possibilità e non come una certezza totale e assoluta. Infatti, c’è sempre l’eventualità che entrino in gioco altri fattori, come le prospettive economiche (inflazione alle stelle e tassi di interesse in aumento, giusto per citarne due) e quelle per lo specifico settore.
C’è poi da dire che le stime degli analisti potrebbero non essere aggiornate: per esempio, se le loro considerazioni risalgono al periodo immediatamente precedente l’inizio dei rialzi inflazionistici o della situazione pandemica o geopolitica che ha provocato, tanto per dire, la carenza di fonti energetiche o di chip in ambito tecnologico. Può anche succedere che la tal società batta il consensus riportando utili per azione migliori di quelli previsti dagli analisti finanziari, ma al contempo fornisca indicazioni molto caute sul trimestre successivo o sul resto dell’anno: in conseguenza di ciò, il titolo va giù. A dispetto di tutte le previsioni battute.
Ma quanto contano le previsioni?
Gli analisti finanziari che seguono una determinata società sono soliti emettere giudizi e raccomandazioni basate (anche) sul prezzo atteso del titolo oggetto di analisi, chiamato “target price” o prezzo obiettivo. Rappresenta, per l’appunto, l’obiettivo di prezzo che l’azione potrebbe raggiungere in un futuro prossimo, alla luce dei piani industriali presentati dal management della società emittente e dello scenario macroeconomico e/o di settore.
Negli anni, però, questo tipo di valutazione ha mostrato i suoi limiti: può quindi essere interessante da tenere a mente nell’ottica di confrontarla con i risultati che la società riesce poi effettivamente e concretamente a raggiungere, ma non deve di per sé diventare un invito all’acquisto, perché è una previsione e come tale non è da dare per certa in assoluto.
Proviamo a fare un esempio. Il titolo azionario della tal società oggi vale 50 centesimi; secondo gli analisti della casa d’affari PincoPallo, alla luce del recente piano industriale, delle prospettive del settore e del momento economico, entro la metà del prossimo anno potrebbe arrivare a 90 centesimi.
Quindi compro oggi a 50 perché tra un anno potrò eventualmente vendere a 90? Ti sembrerà incredibile, ma c’è anche chi, interpretandola così, si precipita a metter mano al portafoglio. E invece no. In pratica, gli analisti ti stanno dicendo: “oggi questo titolo vale questa cifra, le premesse sono convincenti e per noi è da comprare; se tutto va secondo i piani, tra qualche mese varrà 90”. Non ti stanno dicendo: “varrà sicuramente 90”.
Proviamo a capirci meglio con un altro esempio.
Più che il consensus, conta la consulenza
Gli analisti hanno accesso a dati e informazioni pubbliche, ai “roadshow” organizzati dalle società, alle “conference call” dei top manager, agli incontri “one-to-one”. Soprattutto, hanno gli strumenti per decodificare le indicazioni e le informazioni che in queste circostanze vengono trasmesse. Ma è bene considerare le valutazioni per quello che sono – valutazioni, appunto – e non lasciarsene abbagliare. Decidendo per il proprio portafoglio con l’ausilio di un consulente esperto, in un’ottica di medio-lungo termine e di adeguata diversificazione di portafoglio.