COP29: cosa si è detto di nuovo sul clima?
Al di là della COP29, qui è di Megatrend che stiamo parlando. E la macrotendenza di fondo è chiara: il fossile è una risorsa limitata, il rinnovabile no.
Ci siamo. Con oltre un giorno di ritardo sulla chiusura ufficiale (domenica 24 novembre e non venerdì 22, com’era da programma), a Baku, in Azerbaigian, si è conclusa la 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La COP29 si è svolta con l’obiettivo – come ogni anno – di fare il punto sugli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015 e sugli impegni per il clima, anche in chiave di cooperazione con le nazioni più povere e vulnerabili. Ebbene: cosa si è detto? Domanda interessante. Ma prima ce n’è un’altra alla quale rispondere.
Cos’è la COP e a cosa serve?
Da circa tre decenni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite raduna pressoché tutti i Paesi della Terra in summit globali sul clima chiamati, appunto, COP, sigla che sta per “Conferenza delle Parti” (Conference of the Parties): il primo vertice di questo tipo si è svolto a Berlino, in Germania, nel 1995. Vent’anni dopo, nel 2015, nell’ambito della 21esima Conferenza delle Parti (la COP21), ha preso forma l’Accordo di Parigi.
Per intenderci, è l’Accordo secondo il quale sarebbe bene mantenere l’aumento delle temperature medie mondiali rispetto ai livelli preindustriali (periodo 1850-1900, più o meno) ben sotto il limite dei 2 gradi Celsius, se possibile entro gli 1,5 gradi. Non sono dettagli: più decimali si aggiungono, più si rischia di rimetterci in termini di risorse, sostentamento e vite umane.
Accordo di Parigi: non è ancora troppo tardi
L’aggiornamento della World Meteorological Organization (WMO) sullo stato del clima per il 2024, contenuto in un rapporto pubblicato il primo giorno della COP29, ci dice che il decennio 2015-2024 sarà il più caldo mai registrato. La temperatura media globale dell’aria in superficie nel periodo gennaio-settembre 2024 è stata di 1,54 gradi Celsius (con un margine di incertezza di più o meno 0,13 gradi Celsius) al di sopra della media preindustriale. Sì, hai capito bene: sopra i fatidici 1,5 gradi Celsius dell’Accordo di Parigi. Ma attenzione, avverte il segretario generale della WMO Celeste Saulo.
“Poiché il riscaldamento mensile e annuale ha temporaneamente superato 1,5 gradi Celsius, è importante sottolineare che questo non significa che non abbiamo raggiunto l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura superficiale media globale a lungo termine ben al di sotto dei 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius”.
Insomma, l’obiettivo è là, può ancora essere raggiunto e non dobbiamo rinunciare ai nostri sforzi in tal senso. Di fronte a tutto ciò, cosa si è detto a Baku, in Azerbaigian?
Le indicazioni arrivate dalla COP29
Le due settimane di colloqui si sono concluse domenica 24 novembre, sul presto, quando i negoziatori delle quasi 200 nazioni presenti hanno finalmente raggiunto un accordo per triplicare la quantità di denaro (da 100 a 300 miliardi di dollari annui entro il 2035) da mettere a disposizione delle economie in via di sviluppo per affrontare un mondo più caldo. Ed era proprio questo l’obiettivo principale della COP29. L’accordo invita inoltre le parti a lavorare per liberare un totale di 1.300 miliardi di dollari all’anno, la maggior parte dei quali dovrebbe provenire da finanziamenti privati.
Sono poi stati presi accordi per dare il via al commercio globale dei cosiddetti “crediti di carbonio”, o “carbon credit”: certificati negoziabili, equivalenti a una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita attraverso appositi progetti volti alla riduzione o all’assorbimento di emissioni globali di CO2 e di altri gas effetto serra. Per farla breve, i più virtuosi potranno vendere i loro crediti a chi invece sotto questo punto di vista è più indietro.
Un tassello che invece manca dal puzzle dell’accordo finale è la menzione dei combustibili fossili come principale motore del riscaldamento globale: e in questo si nota il peso, nei negoziati, di Paesi come l’Arabia Saudita.
Il ruolo degli investimenti sul clima
Il prossimo anno, la conferenza sul clima si terrà a Belem, in Brasile, porta d’accesso alla foresta amazzonica. Dopo la COP28 dello scorso anno a Dubai e la COP29 di quest’anno a Baku, alla COP30 le nazioni saranno chiamate a presentare i loro impegni individuali per la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2035.
In tutto questo, c’è ancora da capire quale sarà la linea degli Stati Uniti sul clima. Da una parte c’è la traiettoria tracciata dal presidente uscente Joe Biden con l’IRA, l’Inflation Reduction Act, che punta a imprimere una forte spinta alla transizione. Dall’altra c’è il presidente eletto Donald Trump, che si insedierà a gennaio e che non ha mai fatto mistero sul suo scetticismo circa il riscaldamento globale e il cambiamento climatico.
Cosa aspettarsi, dunque? In realtà, al di là di quanto s’è detto alla COP29 e delle pressioni di parte dei protagonisti della geopolitica e dell’economia affinché non si abbandonino i combustibili fossili (carbone e petrolio), il mercato ha già preso una sua direzione molto chiara sulle energie pulite, cogliendo le opportunità offerte proprio dalle recenti normative. Difficile tornare indietro. Da che esiste l’umanità, però, nessun cambiamento è mai stato lineare: ogni transizione ha avuto i suoi stop&go, così come i suoi sostenitori e i suoi detrattori.
Ma qui è di Megatrend che stiamo parlando. E la macrotendenza di fondo, al di là delle convinzioni che ognuno di noi può avere su clima e ambiente, è molto chiara: il fossile è una risorsa limitata, il rinnovabile invece non ha limite. Già solo per questo, in un’ottica di lungo periodo, il passaggio sarà ineluttabile. Solare, eolico, nucleare, idrogeno: vale la pena di rimanere sintonizzati su queste fonti. Nel frattempo, per cogliere gli spunti del cambiamento, puoi sempre fare due chiacchiere con il tuo Financial Coach.