Le conseguenze del conflitto in Palestina: cosa aspettarci?
L’attacco di Hamas a Israele ha accresciuto l’instabilità della regione. Il rischio è quello di un allargamento del conflitto ai Paesi Arabi vicini.
L’attacco di Hamas a Israele ha riportato instabilità in una regione che da sempre è attraversata da profonde tensioni. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con le ultime dichiarazioni, ha lasciato intendere che difficilmente si potrà arrivare rapidamente ad una risoluzione del conflitto come avvenne nel 2021. Nei giorni successivi all’attacco, il prezzo del petrolio è leggermente salito, il dollaro e l’oro, beni rifugio per eccellenza, si sono rivalutati, mentre le borse e i tassi hanno conosciuto oscillazioni lievi. Nel complesso, si tratta di reazioni contenute, che dipendono dal fatto che l’aria interessata sia attualmente confinata ad una zona relativamente piccola e priva di materie prime importanti. Ma cosa potrebbe succedere da ora? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Il rischio di escalation
Dopo l’appello di Hamas alle nazioni arabe di unirsi contro Israele, il rischio che il conflitto si allarghi ad altri Paesi è ragionevole. La minaccia contro Tel Aviv diventerebbe molto più seria nel caso in cui l’Iran decidesse di scherarsi ed entrare in campo a sostegno della causa palestinese. Le attuali tensioni, hanno inoltre frenato la normalizzazione, sostenuta dagli Stati Uniti, delle relazioni tra l’Arabia Saudita e Israele. Soprattutto dopo l’attacco ad un ospedale nella Striscia di Gaza, dove hanno perso la vita centinaia di civili, il rischio di escalation si è alzato. La conseguenza immediata è stata l’annullamento dell’incontro ad Amman, in Cisgiordania, tra il presidente Usa, Joe Biden, il re giordano Abdullah, il presidente egiziano Sisi e il leader palestinese Abbas.
Il petrolio
Sul fronte economico e finanziario, le principali ripercussioni riguardano l’energia. Subito dopo l’attacco, il Brent è balzato di oltre il 5% a 89 dollari al barile, per poi collocarsi sopra i 90 dollari. Un conflitto contenuto tra Israele e Hamas non dovrebbe avere un impatto duraturo sui mercati dell’energia. Nell’eventalità di un allargamento delle tensioni, invece, si potrebbe verificare un rialzo dei prezzi. Considerando i dati attuali l’Iran esporta circa 1-1,5 milioni di barili al giorno di greggio: in caso di un inasprimento delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, si potrebbe verificare una riduzione dell’offerta di petrolio sui mercati. Secondo Warren Patterson, head of commodities strategy di Ing, ed Eva Manthey, commodities strategist di Ing, tale stretta potrebbe sottrarre al mercato 500mila barili di greggio al giorno:
“L’incidente non fa altro che aumentare l’instabilità nella regione e l’Iran ha già invitato i produttori di petrolio islamici a imporre un embargo petrolifero contro Israele nel contesto del conflitto più ampio. Israele è un importatore di petrolio relativamente piccolo, con poco più di 200mila barili al giorno, con i due maggiori fornitori al momento Kazakistan e Azerbaigian. Se dovessimo vedere un’interruzione di questi flussi, dati i volumi relativamente piccoli, Israele dovrebbe essere in grado di trovare abbastanza facilmente delle alternative. Il mercato petrolifero ha dimostrato abbastanza bene, dopo la guerra tra Russia e Ucraina, come i flussi commerciali siano in grado di adattarsi alle restrizioni commerciali”
Secondo il rapporto dell’Eia (Agenzia internazionale dell’energia), scrivono sempre Patterson e Manthey di Ing, “le scorte di petrolio greggio degli Stati Uniti sono diminuite di 4,49 milioni di barili nell'ultima settimana, mentre le scorte di petrolio greggio a Cushing (il più grande hub petrolifero statunitense, ndr) sono scese di 758 milioni di barili a poco più di 21 milioni di barili e ai livelli più bassi dal 2014, un calo in gran parte guidato da un picco nelle esportazioni, che sono cresciute da 2,23 milioni di barili/giorno a 5,3 milioni di barili/giorno.”
Il gas
Per quanto riguarda il gas, non essendo le parti coinvolte nel conflitto grossi produttori di metano, la situazione appare più tranquilla. Al Ttf, il mercato di riferimento europeo, il metano oscilla intorno ai 50 euro al megawattora, su valori simili a quelli degli ultimi tre mesi, sebbene molto più elevati dei 36 euro registrati il 6 ottobre, prima dell’inizio delle tensioni. È inoltre da considerare che sul gas hanno inciso anche alcuni scioperi in un importante impianto di Gas naturale liquido della Chevron in Australia e l’interruzione dei flussi del gasdotto Balticconnector che congiunge Finlandia ed Estonia in seguito a un’esplosione.
I beni rifugio
Come sempre accade in situazioni di incertezza, le recenti tensioni in Medio Oriente hanno premiato i beni rifugio. Il 7 ottobre, giorno in cui si è verificato l’attacco di Hamas, l’oro ha reagito aprendo in rialzo dell’1% a 1.850 dollari l’oncia.
“L’oro è salito ai livelli più alti dall’inizio di agosto, con prezzi che il 18 ottobre hanno superato brevemente 1.960 dollari l’oncia in mezzo al crescente conflitto in Medio Oriente”, rilevano gli analisti di Ing. “Nonostante i movimenti più recenti dei rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi, con il rendimento a 10 anni superiore al 4,9%, in rialzo di oltre 20 punti base dalla chiusura di lunedì, il mercato dell’oro si mantiene stabile in un contesto di domanda di beni rifugio più forte dato l’attuale contesto geopolitico”.
Insomma, per ora sui mercati non ci sono state grosse ripercussioni, ma resta comunque una situazione geopolitica incerta. In ogni caso, quando si tratta di investimenti non è mai bene affidarsi alle sole informazioni mediatiche che potrebbero confondere ulteriormente le idee. In queste circostanze, per fare chiarezza, puoi sempre contare sull’aiuto del tuo Financial Coach, che può fornirti tutte le informazioni di cui hai bisogno per investire i tuoi risparmi in modo oculato e in linea con le tue esigenze.